[Presos] horst... senza perder tempo

sadri marel mattino300 at yahoo.es
Wed Dec 26 23:09:39 CET 2001


horst... senza perder tempo...

ci conoscevamo da troppo poco tempo io e horst...
il tempo sembra sempre troppo poco quando non se ne ha
piu...
di perso ne vedo alle spalle gia troppo per passarne
altro a compiangere...
...ne staró qui a raccontare la storia di horst perché
la conosco frammentariamente e c'é chi l'ha vissuta
cosi a fondo insieme a lui che raccontarla gli é
naturale quanto la propria.
E probabilmente gli sará impossibile farlo senza
ammiccare quel dolcissimo sorriso che ogni volta che
li ho visti insieme volava dalle labbra di una e
affiorava su quelle dell'altro...

...horst picchiava sodo quando scherzava
manescamente... lo faceva spesso quando siamo stati
assieme, mi sono sempre detto che fosse perché aveva
una gran voglia di contatto fisico con le persone...
piu o meno ingenuamente (non lo so) associavo questi
modi al fatto che 30 anni e passa di carcere
probabilmente generano bisogni spontanei di una
emotivitá che io non ho mai conosciuto. Ma mi piaceva
perché il primo pugno sullo sterno che m'ha rifilato
poco dopo averlo appena conosciuto mi ha messo subito
a mio agio.
E perché, scontato a dirlo parlando di horst, era
tutta vitalitá... quella stessa che portano con se
le/i ribelli di tutta una vita quando, a questa
rognosa e  mortifera societá, decidono di fare la
festa.
La stessa che non s'ammazza, non si reprime, non si
tortura... la stessa che non si puó rinchiudere dietro
le sbarre di qualche porca galera di Stato.
Se trent'anni di carcere non bastano a spezzare un
uomo, allora vuol proprio dire che non ci sono ne
sbarre ne sbirri che tengano, la libertá spacca tutto,
da la forza a un uomo di non tirarsi indietro, di non
arrendersi, di non commiserarsi, di non martirizzarsi
ne lasciarsi martirizzare, di non sentirsi sconfitto
mai... la dignitá tiene forte e non cede,
ricominciando tutto daccapo con la tenacia di tutta
una vita ancora da vivere, di tutto un mondo di
galere, controllo, autoritá e gerarchie ancora da
distruggere... fino alle estreme consequenze... 
giusto per iniziare.
Quelle/i come horst non muoiono con le pantofole,
addormentati davanti a un televisore rincoglioniti da
una vita di rimbecillimento mass-mediatico,
competizione e ipocrisia. 
Non ne hanno il tempo. Piuttosto escono di casa in
pantofole e bussano senza mazzi di fiori alla mano a
uno dei fortini del capitale e, distraendo per un
attimo gli automi affaccendati a difendere chi li
sfrutta (scellerati, questi si, carnefici della
propria dignitá) dalla pietosa e piatta vita che
conducono, tornano e torneranno a batter cassa e a
riprendersi quel che é di tutte/i noi. Non tanto
soldi, ne tantomeno potere, ne nulla del genere...
Ma la vita stessa che dentro quei forzieri si tiene
sequestrata, la vita di milioni di sfruttate/i
ostaggio del capitale, la vita di milioni di morti in
guerre che i proprietari di quei forzieri hanno
manovrato e sui cui armamenti continuano schifosamente
a lucrare.
Storia di morte, di sangue, di genocidi. Di controllo
di immensi territori, ricchezze e risorse.
Lo sapeva horst, lo sanno ad esempio decine di
migliaia di argentine/i che in questi giorni hanno
bruciato le banche e  il culo a parecchia di questa
gentaglia, che pretende maldestramente di tener sotto
controllo ció che invece gli sta palesemente sfuggendo
di mano. NOI. 
Le banche non le alleggeriscono i romantici. Non le
bruciano gli innocenti, i candidi della
"via"democratica, non le sabotano gli sconfitti della
rivoluzione ne i terzomondisti ne tantomeno i profeti
dell' "attesa"o "del recupero"dell'altrui rivolta
verso il dialogo e la conciliazione tra sfruttati e
sfruttatori... purché ognuno al suo posto. Le banche
le bruciano, le alleggeriscono, le sabotano, le
rivoltano i/le rabbiosi/e, le/i colleriche/ci,  gli/le
impazienti, i/le ribelli. A bologna come in spagna, in
bolivia, in argentina, in brasile, in grecia, in
albania, in algeria, ecc...
Non é questione di attaccare i simboli del potere e
del capitale come a qualcuno fa comodo farci credere.
Riducendo tutto su un piano strettamente
spettacolare... una mera questione di  democratici
antagonismi a suon di simboli in cui basta solo
premere il tasto del telecomando per votare chi ha
ragione e chi torto.
Se le banche che simboleggiano ricchezza e peccano di
troppa opulenza o gli sfasciatori che simboleggiano
poco piú che un malcontento diffuso se non una
semplice combriccola di morti di fame.  
É questione di danneggiare, sabotare, truffare,
espropriare concretamente in prima persona ció che non
é un mero simbolo ma un luogo concreto dove la
rovesciante normalitá di una vita in gabbia
trascorrerebbe altrimenti solita, ridicola parodia di
esistenze degne d'essere vissute mentre
l'imperturbabile scandire di operazioni contabili
internazionali tiene in ostaggio un mondo intero.

Attaccare il particolare nella sua concretezza, nella
sua evidente vulnerabilitá... non rincorrere una
inesistente e fantomatica centralitá del capitale e
del controllo, sparlandosi addosso su come inutile o
addirittura controproducente puó essere NON aspettare
di poter colpire (insieme a fantomatiche masse di
"proletari") il cervello globale stesso (il palazzo
d'inverno da assediare) di questa miseria organizzata
che é l'esistente... aspettando il momento strategico
in pantofole davanti le immagini televisive di un
susseguirsi incomprensibile (e pure un pó fastidioso)
di rivolte particolari, locali, a volte individuali...
venduteci per attacchi di follia piú o meno
generalizzata, "impure", sporche di violenza che ci
raccontano come indiscriminata...
 fermi... in pantofole... tutt'al piú scagliandosi
contro la mancanza di rispetto dei diritti umani,
delle regole democratiche e delle "libertá
individuali".
Una banca non simboleggia nulla piú che un
supermercato, una vetrina, una galleria del treno ad
alta velocitá, un ripetitore assassino, la macchina di
un secondino (o il secondino stesso), la casa di un
giudice (o il giudice stesso), un blindato dei
caribinieri (o un carabiniere ste"s"so), gli uffici o
i negozi di un impresa che lucra sul lavoro dei
detenuti e delle detenute, un traliccio dove prima
c'era preziosa macchia mediterranea, un manager della
novartis, un vivisettore, il cantiere per un
inceneritore, un campo transgenico, un ministro o un
ministero, un prete o una chiesa, un commissariato,
una sede di partito, un seggio elettorale, una
concessionaria o quel che a ciascuna/o meglio gli
pare.
Si tratta di colpire le nocivitá. Ció che ci controlla
avvelena e reprime. Provocando danni, perdite.
Dimostrando quanto tutto sia estremamente
riproducibile e incontrollabile. Quanto piu
diffusamente e anonimamente siamo capaci. 
Strategie, momenti, risorse differenti. Ognuno
colpendo quel che piú non tollera e non sopporta.
Ognuna/o scegliendo i propri. Questo fa paura, questo
getta nel panico sbirri, economisti, sociologi e
pennivendoli. Perché questo non é can-can
mass-mediatico. Non é rumore. É storia. la storia di
chi si ribella, la storia di chi si rivolta, la storia
di chi non lascia dormire in pace una societá di
cadaveri. E la storia non finisce.
La storia di horst e di tanti/e altri/e.              
                   
Horst non l'hanno spezzato con trent'anni di carcere.
Non s'é arreso, non s'é fermato. Horst l'hanno dovuto
ammazzare. Con l'ennesimo arresto, sbattendolo
nell'ennesima cella, per l'ennesima volta. Non so se
sia morto davvero di infarto, se lo abbiano soccorso o
quant'altro... non cambia nulla.    
Horst lo ha ammazzato lo Stato. Lo hanno ammazzato
quelli che per trent'anni lo chiudevano a chiave
dietro una porta blindata, non solo carcerieri...
psicologi, assistenti sociali, medici, volontari,
fornitori dei penitenziari, manutentori, esattamente
come sbirri, politici e giudici... persone... esseri
in carne ed ossa. Tutte direttamente responsabili
dell'esistenza fisica stessa del carcere. E di questo
schifo di societá.
Assai piú vulnerabili e minacciabili delle solide
"democratiche" mura che ci rinchiudono. 
Tutte/i fuori e dentro le galere.     

Non finisce qui.
Ciao horst ti prometto che non perderó piu tempo.

un anonimo anarchico "dall'altra parte del mondo".   
  

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