[Presos] [Contropotere] Il movimento con le dande

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Tue Nov 26 13:35:33 CET 2002


Arresti e vecchi merletti
- Il movimento con le dande -

Le riflessioni che seguono sarebbero state egualmente diffuse dopo lo 
show di Firenze. L'arresto di alcuni attivisti del "movimento dei 
movimenti", permesso da leggi infami e persecutorie, non fa che 
confermare alcune amare considerazioni.
Gli esiti attuali dell'ondata internazionale di protesta civile anti-
liberista emersa ai clamori della cronaca a Seattle, sono peggiori di 
quanto ci si potesse aspettare. 
Dominati ideologicamente, politicamente, organizzativamente, dalla 
cultura e dai ceti del tradizionale associazionismo politico delle 
vecchie sinistre riformiste e massimaliste (con tutte le squallide 
conseguenze mille volte già scontate nel secolo dei loro fallimenti) i 
citoyens del "movimento dei movimenti" offrono oramai uno spettacolo 
di addomesticazione integrale - vuoi per soggezione, disinteressata 
ignoranza, cecità o ideologismo - al gioco ufficiale della lotta 
politica condotta dalle gang dei professionisti dello pseudo riformismo 
istituzionale. 
Parliamo di "addomesticazione integrale" non perché a Firenze non vi 
sono state le violenze di cui la ridondante pletora di nemici 
dell'umanità aveva straparlato, perché la piazza è restata pacifica 
(che può essere una scelta nelle corde dei partecipanti), ma perché 
gran parte dell'assise no-global mostra di muoversi totalmente sotto il 
ricatto preparato, in merito alla questione "ordine pubblico", dal 
potere e dalla volgarità mediatica. 
Il terrore ormai connotato da elementi di cecità superstiziosa che 
provoca la sola idea di violazioni dal basso e collettive di pur 
limitate dimensioni del criminale ordine politico-economico dominante 
(violazioni che non hanno necessariamente a che vedere con lo show 
alternativo della violenza dimostrativa in puro stile Black Bloc), ha 
il potere di tetanizzare letteralmente le coscienze e le capacità di 
azione e progettazione. 
Di fronte alle messe di ricatti veicolati dalle immagini retoriche, 
dall'induzione, semplificazione e falsificazione diffuse dai media, 
dalle richieste e blandizie degli apparati della politica, la 
stragrande maggioranza degli attivisti o accetta senza troppe riserve, 
come in uno sguazzare in acqua naturale, le pastoie dell'agire politico 
più comune e deteriore, o non è in grado di porre ad esso limiti e 
distinzioni, partecipando ai suoi riti senza frizioni e scarti 
rilevanti, contentandosi al massimo di qualche triste mugugno, di 
qualche vago "distinguo", sempre e categoricamente postumi. 
Allo stesso modo di quei reazionari da autobus che sbraitano per 
placare il panico quotidiano che attanaglia la loro vita insulsa, 
questi cittadini ribelli tuttavia arringati da decine di capetti e 
leaders (che vengono ascoltati, tollerati, coccolati e seguiti, a 
dimostrazione della pochezza sottomessa che agita le folle di 
partecipanti) si comportano come medievali atterriti dall'agitarsi 
delle croci dell'inquisizione, correndo a testa china a sconfessare, 
quando richiesto, le nuove streghe e i nuovi lebbrosi che vengono di 
volta in volta additati loro dalla mano guantata che regge la frusta: 
si chiamino black bloc, teppisti, canaglie, casseurs o terroristi. 
D'altra parte, lo stesso dibattito sulla violenza appare ormai 
irrimediabilmente falsificato. A tal punto compromesso che sarebbe 
preferibile un selvaggio silenzio (buona abitudine alla quale Out ha 
imparato, qualora necessario, a consegnarsi). In sé, la violenza non è 
in grado di dare spessore a un movimento, a caratterizzarlo più di 
quanto non facciano le marche di scarpe che calzano i manifestanti o le 
canzonette che ascoltano. Il dibattito sulla violenza, però, 
attualmente decade perché l'unica violenza che si dia e che meriti una 
qualche attenzione critica è la violenza di stato: tanto quella 
operata, nell'abituale impunità, dai salariati del pestaggio, che la 
violenza da stadio, dove "stadio" sta per palcoscenico spettacolare, 
evento da prima pagina, catino mediatico predisposto ad accogliere lo 
scontro e ad istigarlo. Tifoseria con o senza ultras incappucciati, il 
movimento dei movimenti , da Seattle a Firenze, è scivolato sempre più 
incoscientemente e irresponsabilmente negli stadi (summit, adunate, 
manifestazioni provocatorie tipo "Usa day") che gli venivano allestiti. 
Per poi disperdersi silenzioso a fine-partita, ritirarsi, magari 
mazziato, nelle celle delle proprie critiche e lotte specializzate, la 
cui somma non dà ancora una critica della totalità. Negli stadi - in 
altri tempi e latitudini - si macellavano gli oppositori: adesso 
servono per addomesticarli, rendendoli protagonisti per un giorno. 
Davanti alla perfetta sceneggiatura del "circensem", la violenza è ciò 
che fa notizia, oramai l'aspetto più mercificabile della protesta. 
Perciò va ripudiata come tutto ciò che è inessenziale, inutile, nocivo 
alla seppur minima utilità.
Dura lex sed lex: i medievali citrulli che ambiscono a pagare ai 
padroni una decima ridotta, non sanno più imporre in autonomia, come 
qualcosa di consapevolmente scelto, nemmeno il carattere ordinatamente 
festaiolo che si pretenderebbe da loro, e che deve diventare, come è 
diventato, il loro tratto distintivo, la medaglietta 
di "responsabilità" ben guadagnata scodinzolando: la pena d'esser 
massacrati come a Genova è sempre pendente, occhieggia a qualche 
centinaio di metri da dove si svolge la pretesa "festa", subito dietro 
il "filtro" dei servizi d'ordine; ma chi, nel "movimento dei 
movimenti", nel cuore di questo esempio di pace solidarietà 
e "democrazia diffusa", li decide, li organizza, quali le consegne i 
mandati di questi "servizi" non si sa mai da chi e da quanti richiesti? 
Non domandatelo al no-global, lui va semplicemente a manifestare e li 
trova lì, "democraticamente" in piazza, pronti a "proteggerlo", come 
fanno polizia ed eserciti da quando lo hanno messo al mondo. Questi 
cittadini de "l'interrogarsi camminando" si fanno poche domande e non 
vanno da nessuna parte: nel gioco politico-mediatico che hanno scelto 
si abbassano dunque come nulla fosse all'ignominia dei servizi 
d'ordine incaricati di guardare a vista, al posto degli sbirri, lo 
svolgimento della "festa" (se abbiamo voglia di una "festa", specie se 
pacifica, chiamiamo i buttafuori?), riducendosi a truppaglia inquadrata 
in spezzoni vigilati da manipoli di funzionari con radiolina e 
telefonino, come in una qualsiasi parata. Ma se la cagnara vigilata, se 
quell'indecente fallimento che è stato il Forum fiorentino, è 
considerato unanimente un successo (ha saputo mettere d'accordo tutti, 
dalla questura ai girotondini, dagli arrabbiati ai giornalisti, dai 
picchiatori ai preti) è anche perché, a Firenze, si è ulteriormente 
legittimata quella "lagerizzazione" dello spazio pubblico della quale a 
Genova si era avuta (con qualche prevedibile sbavatura di percorso) 
l'oscena prova generale. La Zona Rossa dentro la quale al G8 si era 
sigillata la ghenga dei patrons, ha trovato il suo naturale 
corrispettivo nella Fortezza, nella camera imbottita all'interno della 
quale si è lasciato che il movimento stringesse i pugni per rivolgerli 
al cielo. A dimostrazione, sconsolante, del fatto che una Zona Rossa, 
ormai, non la si nega a nessuno. A dimostrazione del fatto che la Zona 
Rossa ormai è ovunque, può sorgere dappertutto: è diventata Zona 
Grigia, normalità accettata, combaciando in ogni punto con uno spazio 
pubblico ridotto a reticolato del divieto, dell'obbedienza, della 
minaccia e del controllo cagnesco. A dimostrazione, infine, del fatto 
che non vale più la pena forzare, sia pure d'una spanna, i cordoni 
polizieschi, perché - come ha dimostrato il Forum - se lo chiedi con la 
dovuta cortesia e dopo lasci tutto pulito, puoi ottenere molto: ti può 
essere lasciato in concessione perfino lo spicchio d'una città d'arte 
come Firenze, un organismo delicato, da sempre riserva gelosa di 
turisti e bottegai. Solo ingoiando il prezzo dell'isolamento (anche 
territoriale) come passaggio obbligato, solo così da "teste matte", 
da "orda vandala e lanzichenecca di ravers e nuovi anarchici", si può 
diventare "interlocutori politici" : l'obiettivo dei ciceruacchi no 
global.
In un abisso di vigliaccheria condito di grotteschi recital 
sinistrorsi che postula al minimo strombazzamento reazionario contatti 
a tutto campo con questurini e burocrati di palazzo, tutele cercate e 
ricevute con la sinistra delle barche a vela e dei casali nel Chianti, 
vengono condotti per mano allo zoo delle petizioni, degli accordicchi, 
delle proposte e degli eterni "desiderata": insomma allo "spettacolo" 
dell'opposizione social-funzionale. 
Parliamo poi di "pseudo riformismo" perché - in misura maggiore del 
pur inglorioso passato dei riformismi di sinistra - ci è difficile 
pensare anche con il metro del puro buon senso ad alcun progetto 
di "riforma" in un mondo di pure rovine, ingombro di tali follie, 
catastrofi planetarie e negazioni radicali della natura e della più 
semplice umanità, di tante e tali cose da ripensare integralmente, che 
il solo sgombrare una parte, equivarrebbe al tentativo di sovvertirne 
radicalmente le tragiche leggi di dominio che lo sorreggono. 
Individui che non possono nemmeno più esercitare il controllo sulle 
loro minime necessità vitali, come ciò che respirano e mangiano, o 
sulla funzione, la salubrità, l'aspetto estetico dei luoghi che 
abitano, discutono poi di "possibili riforme" e di "sviluppi 
sostenibili" possibilmente consentiti da eventuali mutamenti negli 
assetti politici planetari: il quadro d'azione, ossia, di spietate 
bande criminali a cui per pigrizia mentale si dà ancora il nome di 
economia, politica, società civile e Stato. 
E' il pesce che si preoccupa del pescatore, mentre sguazza in una 
misera pozza da cui la marea si ritira inesorabilmente.
Accettando di non essere "nocivo" rispetto alle compatibilità di 
funzione e comportamento dettate dai poteri che detengono il monopolio 
della violenza e della sopraffazione, il "movimento dei movimenti" 
scopre l'illusione di poter essere "politicamente nocivo" nell'ambito 
di quelle stesse compatibilità, vale a dire di poter far da volano al 
riscatto delle gang politiche pseudo-riformiste e, con esse, battere le 
destre ultra-neo-liberiste.
Gli arresti degli attivisti mediante il ricorso ridicolo a leggi infami 
avranno, e per parecchi devono avere, l'effetto di rinsaldare la 
tutela posta sul movimento, di serrargli addosso in modo più perfetto 
le dande che esso ha in effetti gioiosamente infilato da solo. 
Il ridicolo in cui cadranno le accuse indicherà subito il necessario 
carattere di soggetto politico-sociale con referenti istituzionali 
acquisito dal movimento e mostrerà agli ultimi eventuali riottosi, cosa 
si rischia senza tutele.
La cosiddetta "criminalizzazione del movimento" è da un lato prodotta 
da strutture burocratiche come quelle investigative e dei corpi 
speciali di polizia e carabinieri che nell'esistenza vera, presunta, 
possibile o immaginabile di criminalità, ordini e ordinamenti offesi e 
da difendere, trovano precipua sussistenza, letteralmente, vivono e si 
perpetuano. 
Lo fanno allo stesso modo del baco che fila la sua seta, è l'autonoma 
attività connaturale di apparati che hanno una logica propria. Sono 
come colonie di procellarie, di insetti infestanti: si attaccano a 
quello che trovano, metabolizzano tutto, non smettono finché non c'è 
più nulla su cui accanirsi. Dall'altro, come nel caso Tangentopoli, o 
nel caso Andreotti, l'uso improvvisamente eclatante, ferreo ed abnorme, 
tempestivo o forzoso del veicolo giudiziario tradisce il tentativo 
spontaneo, il riflesso conservativo, degli apparati dello Stato di 
risolvere in un nuovo assetto certo di potere qualcosa rimasto in 
stallo, in sospeso, in dubbio, qualcosa di cui sfugge ancora 
l'indirizzo esatto di manipolabilità eventualmente necessaria o il 
grado, consequenziale, di archiviazione possibile.
Così è per il fumoso movimento dei movimenti no-global: aiuterà 
davvero la sinistra nel suo - già in parte probabile - riscatto contro 
Berlusconi o ha in sé davvero i germi di qualcosa di nuovo e meno 
controllabile? E se la aiuterà, quale sinistra riformista si prefigura, 
in grado o no di battere le gang di padroni del vapore raccolti attorno 
alla bandicella di uomini d'affari dal dubbio passato che governa oggi? 
Accettando di dar corso alle ossessioni persecutorie degli apparati di 
repressione ed arrestando i no-global, si contribuisce al senso comune 
della pacificazione terrorizzata in modo che - per tutti e dovunque - 
si chiaro quali sono gli angoli fastidiosi da smussare pur nella corsa 
neo-riformista a cui la stragrande maggioranza del movimento fa ormai 
una ruota di scorta. 
Tutto ciò, ovviamente, non abbisogna di magistrati versati in 
strategia, ma solo di omuncoli che partecipano ad alcuni dei tipici 
ingranaggi su cui il "general intellect" terrorista e repressivo della 
società di massa fonda la riproduzione di consenso per l'organismo 
sociale. 
Quello che il "movimento dei movimenti" ha di fronte nella sua attuale 
trasformazione dalla "poesia politica" del mitizzato Marcos al 
pragmatismo delirante del post-reducismo toninegrista è né più né meno 
quanto accaduto, per esempio, in piccolo, ai grunen tedeschi. 
Nonostante al loro interno anima moderata e massimalista convivano con 
le eterne frizioni dell'idiozia associativa della politica, il 
movimento grunen è da una decina d'anni una comoda gruccia per la 
governatura in salsa "social" della catastrofe permanente del mondo 
industriale.
E' vero che la capacità delle anime "social" dell'inciviltà industriale 
avanzata, quando guadagnano consensi, suscitano i timori delle cricche 
dell'inciviltà "liberal": ma è proprio al gioco del consenso e 
dell'egemonia ed al loro terroristico oblio di ogni istanza 
radicalmente etica che il movimento pare deciso a giocare. In questo 
modo, le effimere opzioni alternative al logos ed alla pratica 
dell'Impero ne divengono funzione, diventano il linguaggio permanente 
dell'altra faccia dello show. 
La politica nelle condizioni di sviluppo delle società di massa (intesa 
nel suo senso più determinato, che non è "l'agire " con conseguenze 
socialmente rilevanti in generale né l'agire organizzativo in quanto 
tale) come luogo di confronto e lotta per l'egemonia, è lungi 
dall'esser comodamente restata nell'alveo delle sue origini socratiche 
in rapporto morale ed agonico tra il potere, il demos e la polis: suo 
destino e funzione è esser nient'altro che tecnica, regno vuoto e 
strumentale coperto da una coltre di vizi e dubbie virtù, appannaggio, 
come il resto degli apparati produttivi di consenso, di racket che 
sopravvivono mediante le funzioni da essa attivate, facendone un mezzo 
di regolazione dei traumi sociali che il dinamismo della società 
articolata su principi di dominio impongono ai singoli ed alle classi. 
In questo senso, "l'agire politico" in senso stretto ha svolto una 
eminente funzione reazionaria nell'ultimo secolo, che fosse di sinistra 
o di destra, moderato o rivoluzionario. E' stata questa peculiare 
manifestazione della ragione tecnica presa nel suo aspetto più 
direttamente mortifero e strumentale, a farsi nemica di ogni tentativo 
individuale e collettivo di liberazione radicale, imponendo con ogni 
spietato mezzo, con la violenza, il raggiro e la menzogna, i suoi tempi 
e le sue pretese necessità, le sue mediazioni oggi e le sue bombe 
domani, le sue sfilate clownesche o i suoi martiri di barricata, il 
parlamento o la galera, tentando di dettare tempi, modi, priorità e 
fini alle comunità e agli individui in lotta per liberare la propria 
vita quotidiana. Rispetto a questi semplici soggetti in lotta, l'agire 
politico specializzato ha sempre giocato la carta truccata del 
principio di efficienza, del principio di realtà restrittivamente 
inteso, in quel "disincanto" che si fregia di fine comprensione della 
realtà e non è altro invece che misero cinismo della sopravvivenza.
A questi apprendisti stregoni del dominio della falsa efficienza si 
rovescia contro spesso il demone suscitato: è certamente un 
finissimo "realismo politico" ritenere migliore una compagine di 
governo "social" invece di una "ultra-liberal" quando su tutte le 
questioni sostanziali che la catastrofe in atto del mondo naturale ed 
umano pone in modo drammatico queste non solo non si differenziano che 
per sottili ed irrilevanti distinguo, ma risultano perfettamente 
identiche nei fondamenti. 
E' il definitivo disastro morale della società della merce e del 
dominio che segue il suo disastro socio-ambientale.
D'altronde, quando l'isteria paranoide si banalizza fino a diventare 
lessico familiare dell'informazione, quando il delirio si fa senso 
comune, quando si accetta di discutere su informi flatulenze verbali 
come quelle della Fallaci al di fuori del quadro psicopatologico in cui 
andrebbero dissolte, quando il diritto rivela il proprio fondamento 
irrazionale rovesciandosi in pre-scienza inquisitoria, intimidazione 
religiosa (agli arrestati di Cosenza non sono state estorte 
confessioni - non essendoci nulla da confessare .- ma abiure in bello 
stile Sant'Uffizio), significa allora che l'agire comunicativo si è 
installato nell'illogico, nel crepaccio della follia organizzata, 
dell'idiozia come stadio antropologico. 
Quello che le burocrazie più in vista e più astute nell'informale mondo 
degli addomesticati no-global può sperare di ottenere assolvendo la sua 
funzione di volano dei riformismi in crisi, quello che realmente può 
mettersi in saccoccia, è qualche spazio di agibilità politico-economica 
in più. E' una battaglia per accaparrarsi i pur vitali - dal punto di 
vista dei singoli e delle loro organizzazioni - ossi gettati dalla mano 
del padrone, finanziamenti, consulenze, micro spartizioni di scranni 
amministrativi, approvazione di progetti umanitari, persino frammenti 
di governicchio locale: è una lunga marcia verso il riconoscimento 
politico ed economico delle proprie fatiche, della marginalità e 
dell'attivismo ben venduti in tv, è il poter diventare, a cinquanta 
anni, un Cohn-Bendit, un Joska Fischer, un Jack Lang, un Toni Negri o 
un porta borse di questi. 
D'altra parte, per i residui di massimalismo dei duri e puri che 
sguazzano nel movimento che ha infilato solennemente le dande, 
significa poter seguitare a riprodurre in santa pace i loro micro-
deliri lavoristi, cubanofili, statolatrici, insomma una delle tante 
forme dell'indeperibile sintomatologia maniaco-depressiva comunista e 
post-neo-comunista. 
Dimentichiamo il gran numero di onesti portatori di protesta etica 
contro la selvaggia immoralità neo-liberista: per questi cattolici si 
tratta di guadagnare come al solito un credito per buona coscienza e 
buone azioni. Salvate una balena o un post-fiat disoccupato, passerete 
più vicini alla cruna, avrete un miglior karma.

Abbandonare la lotta per l'egemonia politica, per le riforme e le 
rivoluzioni di palazzo e di potere, rifiutarsi di trovarsi spalla a 
spalla, o peggio, arringati sotto un palco, da esponenti 
dell'alienazione politica organizzata, disertare il pasto delle 
carogne, lasciare alla necrofilia politica il tentativo di 
rivitalizzare il corpo del cadavere in decomposizione, smettere di 
intervenire, di mobilitarsi, lì dove non accade nulla. 
Costruire altrove, con altri mezzi e modi la comunanza di intendimenti 
e di prassi necessaria a liberare più spazi e tempo possibili 
dall'oppressione sociale, destinata ad aumentare sino al collasso nel 
corso della necrosi devastante della civiltà industriale.

Out- nel nostro tempo. 



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