[unomada-info] Operaismo e politica, conferencia de Mario Tronti

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Lun Ene 8 19:40:24 CET 2007


Éste es el texto (en italiano) de la conferencia pronunciada por Mario 
Tronti en el encuentro internacional "Historical Materialism 2006. New 
Directions in Marxist Theory", celebrado en Londres los pasados días 
8-10 de diciembre de 2006.

Publicado en http://www.globalproject.info/art-10513.html

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Intanto, che cos’è “operaismo”.
E’ un’esperienza che ha cercato di unire pensiero e pratica della 
politica, in un ambito determinato, quello della fabbrica moderna. Alla 
ricerca di un soggetto forte, la classe operaia, in grado di contestare 
e di mettere in crisi il meccanismo della produzione capitalistica. 
Sottolineo il carattere di esperienza. Si trattava di giovani forze 
intellettuali che si incontravano con le nuove leve operaie, introdotte 
soprattutto nelle grandi fabbriche dalla fase taylorista e fordista 
dell’industria capitalistica.
Quello che era avvenuto negli anni Trenta in Usa avveniva negli anni 
Sessanta in Italia. Il contesto storico era proprio quello degli anni 
Sessanta del Novecento. In Italia, c’è in quel periodo il decollo di un 
capitalismo avanzato, il passaggio da una società agricolo-industriale a 
una società industriale-agricola, con uno spostamento migratorio di 
forza-lavoro dal sud contadino al nord industriale. Si disse: 
neocapitalismo. Produzione di massa-consumi di massa, modernizzazione 
sociale con welfare State, modernizzazione politica con governi di 
centro-sinistra, democristiani più socialisti mutamento di costume, di 
mentalità, di comportamento. Si andava verso il ’68 che in Italia sarà 
‘68-’69, contestazione giovanile più autunno caldo degli operai, quando 
ci fu un forte cambiamento del rapporto di forza tra operai e capitale, 
con il salario che andò a incidere direttamente sul profitto.
E questo poté avvenire, anche perché c’era stato l’operaismo, con il 
richiamo alla centralità della fabbrica, alla centralità operaia, nel 
rapporto sociale generale. L’operaismo è dunque stata un’esperienza 
politica che ha contato storicamente, cioè in una situazione storica 
determinata.
Si trattava di dare una nuova forma, teorica e pratica, alla 
contraddizione fondamentale. Questa veniva individuata all’interno 
stesso del rapporto di capitale, quindi nel rapporto di produzione, 
quindi in quello che chiamavamo “il concetto scientifico di fabbrica”. 
Qui l’operaio collettivo aveva potenzialmente, se lottava, se 
organizzava le sue lotte, una sorta di sovranità sulla produzione. Era, 
o meglio, poteva diventare, un soggetto rivoluzionario. La figura 
centrale era l’operaio di linea, l’operaio alla catena di montaggio, 
nell’organizzazione fordista del processo produttivo e 
nell’organizzazione taylorista del processo lavorativo. Qui 
l’alienazione del lavoratore toccava il suo livello massimo. L’operaio 
non solo non amava, ma odiava il suo lavoro.
Il rifiuto del lavoro diventava un’arma mortale contro il capitale. La 
forza-lavoro, in quanto parte interna del capitale, capitale variabile 
distinto dal capitale costante, facendosi autonoma, si sottraeva alla 
funzione di lavoro produttivo, impiantando una minaccia nel cuore del 
rapporto capitalistico di produzione. La lotta contro il lavoro riassume 
il senso dell’eresia operaista. Sì, l’operaismo è un’eresia del 
movimento operaio.
Bisogna considerarlo rigorosamente dentro la grande storia del movimento 
operaio, non fuori, mai fuori. Una delle tante esperienze, uno dei tanti 
tentativi, una delle tante fughe in avanti, una delle tante generose 
rivolte e una delle tante gloriose sconfitte. Noi, seguendo 
l’indicazione di Marx, che studiava le leggi di movimento della società 
capitalistica, andavamo a studiare le leggi di movimento del lavoro 
operaio. Le lotte operaie hanno sempre spinto in avanti lo sviluppo 
capitalistico, hanno costretto il capitale all’innovazione, al salto 
tecnologico, al mutamento sociale. La classe operaia non è classe 
generale. Così l’hanno voluta rappresentare i partiti della Seconda e 
della Terza Internazionale. Era giusta la frase di Marx: il 
proletariato, emancipando se stesso, emanciperà tutta l’umanità.
Questo processo è già avvenuto, limitato al solo Occidente. Se 
emancipazione è progresso, modernizzazione, benessere, democrazia, tutto 
questo c’è, ma tutto questo è servito a una grande rivoluzione 
conservatrice, a un processo di stabilizzazione del sistema 
capitalistico, che oggi, com’era nella sua vocazione originaria, assume 
la dimensione dello spazio-mondo, ordine mondiale di dominio che scende 
dall’alto dell’Impero, ma sale anche dal basso, introiettato in una 
mentalità borghese maggioritaria. I sistemi politici democratici sono 
oggi la tribuna del libero assenso a una servitù volontaria.
L’operaismo, cioè la rivendicazione della centralità operaia nella lotta 
di classe, si è scontrato con il problema del politico. In mezzo, tra 
operai e capitale, io ho trovato la politica: nella forma delle 
istituzioni, lo Stato, nella forma delle organizzazioni, il partito, 
nella forma delle azioni, tattica e strategia. Il capitalismo moderno 
non sarebbe mai nato senza la politica moderna. Hobbes e Locke vengono 
prima di Smith e Ricardo.
Non ci sarebbe stata accumulazione originaria di capitale senza 
accentramento statale delle monarchie assolute. La storia d’Inghilterra 
insegna. La prima rivoluzione inglese, quella brutta della dittatura di 
Cromwell, e quella bella, gloriosa, del Bill of Rights, corrispondono 
alle due fasi dettate da Machiavelli: sono due cose diverse la conquista 
del potere e la gestione del potere, per la prima ci vuole la forza, per 
la seconda ci vuole il consenso.
Il capitalismo libero-concorrenziale ha avuto bisogno dello Stato 
liberale, il capitalismo del welfare ha avuto bisogno dello Stato 
democratico. Poi, attraverso la soluzione, provvisoria, del 
totalitarismo, fascista e nazista, la sintesi della democrazia liberale 
ha stabilizzato il dominio della produzione capitalistica. E adesso 
siamo nella fase della esportazione del modello a livello mondo. Non 
tutto funziona secondo i piani del capitale. La cosa oggi più 
interessante politicamente è il mondo.La “grande trasformazione”, per 
usare l’espressione di Polanyi, riguarda lo spostamento del baricentro 
mondiale da Occidente a Oriente.I nostri paesi europei, al loro interno, 
lasciano scarsi motivi di interesse. E’ difficile appassionarsi alla 
politica con i Blair e con i Prodi. Ma il capitalismo è un ordine e 
oggi, come aveva previsto Marx, un ordine mondiale che continuamente 
rivoluziona se stesso. E’ qui il punto di interesse. Guardate la 
rivoluzione che ha portato nel mondo del lavoro. Per rispondere alla 
minaccia della centralità operaia ha deciso di abbattere la centralità 
dell’industria, e ha abbandonato, o ha rivoluzionato, quella società 
industriale, che era stata la ragione e lo strumento della sua nascita e 
del suo sviluppo. Quando l’isola di montaggio sostituisce la linea, la 
catena, di montaggio nella grande fabbrica automatizzata e si entra 
nella fase postfordista, tutto il resto del lavoro cambia, nel classico 
passaggio dalla fabbrica alla società. La domanda di oggi: esiste ancora 
la classe operaia? La classe operaia come soggetto centrale della 
critica al capitalismo. Non quindi come oggetto sociologico ma come 
soggetto politico. E le trasformazioni del lavoro, e della figura del 
lavoratore, dall’industria ai servizi, dal lavoro dipendente al lavoro 
autonomo, dalla sicurezza alla precarietà, dal rifiuto del lavoro alla 
mancanza di lavoro, tutto questo che cosa comporta politicamente?
E’ di questo che dobbiamo discutere.
L’operaismo è stato il contrario dello spontaneismo. E l’opposto del 
riformismo. Più vicino, quindi, al movimento comunista delle origini che 
alle socialdemocrazie classiche e contemporanee. Ha coniugato di nuovo, 
in modo creativo, Marx con Lenin.
Mi chiedo, se nelle condizioni trasformate del lavoro di oggi 
frantumazione, dispersione, individualizzazione, precarizzazione - delle 
figure di lavoratori si possa tornare a coniugare qui e ora analisi del 
capitalismo e organizzazione delle forze alternative. E non ho una 
risposta.
So per certo che non si dà lotta vera, seria, in grado di fare 
conquiste, senza organizzazione. Non si dà conflitto sociale capace di 
battere l’avversario di classe senza forza politica. Questo è quello che 
abbiamo imparato dal passato. Se i nuovi movimenti non raccolgono 
l’eredità della grande storia del movimento operaio, per portarla avanti 
in forme nuove, per essi non c’è futuro. Nuove pratiche, nuove idee, ma 
dentro una storia lunga.
Guardate, ai capitalisti fa paura la storia degli operai, non fa paura 
la politica delle sinistre. La prima l’hanno spedita tra i demoni 
dell’inferno, la seconda l’hanno accolta nei palazzi di governo. E ai 
capitalisti bisogna fare paura.
E’ ora che un altro spettro cominci ad aggirarsi, non solo in Europa, ma 
nel mondo. Lo spirito, risorto, del comunismo.



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